Sostantivo maschile
singolare dal latino “error”, che deriva dal verbo “errare”: ossia vagare,
andare in giro senza meta precisa. In italiano, “errore” secondo il vocabolario
è: quello che si commette “allontanandosi” dalla norma o dalla verità.
Errore ha quindi una connotazione
negativa. Errore è infatti: svista, imprecisione, mancanza, sbaglio; ma anche
colpa, peccato, disonore, macchia, vergogna, demerito. Eppure “errore” in origine
e in realtà, deriva da verbi che di negativo di per sé, non avrebbero nulla: vagare,
andare in giro senza meta precisa. Cioè girare, allontanarsi, deviare,
peregrinare. Sono verbi che indicano non solo movimento, ma soprattutto a voler
ben vedere: ricerca, percorso, cammino, viaggio. In altre parole il latino
“error” implica il concetto di viaggio. Come se gli errori fossero delle tappe
del viaggio che ogn’uno di noi compie, nella propria vita, fuori e soprattutto
dentro se stesso. In questo senso preciso, se chiunque cammini prima o poi
inciampa per il solo fatto di camminare, è accertato che è sufficiente vivere
per andare incontro all’errore. E dal momento che l’errore viene spesso
demonizzato di per sé: perché dobbiamo essere perfetti, dobbiamo arrivare per
primi e non esiste spazio per incertezza, mancanza, fragilità ed errore; non
esiste premio per chi arriva secondo; rischiamo così di perdere – e spesso di
fatto, perdiamo – l’elemento più prezioso ed importante che l’errore contiene:
una lezione di vita da apprendere. L’errore che è inevitabile e non va certo rincorso
o cercato, è però necessario. Estremamente. Come la paura è necessaria. Se ”le
paure sono fatte per essere vinte”, gli errori esistono per un motivo preciso.
A mio avviso: imparare e quindi crescere. E’ stato scritto: “Non viviamo
abbastanza per approfittare dei nostri errori. Ne commettiamo per il tutto il
corso della vita e tutto ciò che possiamo fare a forza di errori, è morire
corretti”. Il vero sbaglio non è l’errore: ma è restare immobili giacché si ha sempre
paura di farne. Il vero sbaglio non è l’errore: ma è accampare scuse per
tentare di nasconderlo. Il vero sbaglio non è l’errore: ma è non volersi
fermare a cogliere il messaggio che esiste qualcosa, che attraverso quella esperienza
negativa, noi dovremmo apprendere per crescere e diventare migliori di noi
stessi. Innumerevoli possono essere le fonti di errore. Una delle peggiori, per
quel che mi riguarda, è il giudizio. Essere giudicanti verso gli altri e verso
se stessi, porta quasi sempre a commettere errori. Si sbaglia così ad
interpretare una parola, un gesto, una situazione, una persona. Il giudizio
viene definito come capacità critica e “punto di vista espresso da un
competente”. Mentre giudicare è definito: “esprimere un opinione motivata”.
Nella vita reale però, sappiamo bene che il giudizio: è troppo spesso un punto
di vista espresso da qualcuno, che competente non è. E che giudicare è
altrettanto spesso: esprimere un opinione il più delle volte immotivata o
motivata solo dall’ignoranza. Tanto tempo fa, qualcuno ha detto: “Non giudicate
e non sarete giudicati: perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati
e con il metro con cui misurate, sarete misurati”. Questo perché, l’errore è
dietro l’angolo. Perché non abbiamo mai, tutti gli elementi che occorrerebbero,
per poter giudicare veramente qualcuno. Non siamo lui. Non sentiamo come lui.
Non eravamo al suo posto. Nove mesi fa, è venuta a trovarci da Roma, Laura.
Laura fa il medico e ha 35 anni; è la mia cugina preferita, anche se lei non lo
sa. E’ bionda, capelli mossi, occhi azzurri. Bellissima. Quando eravamo piccole
e vivevo a Roma, abbiamo trascorso diverso tempo insieme. E anche se allora non
avevo coscienza di nulla, in qualche modo mi ha sempre affascinato per
l’aspetto e per il carattere. Una di quelle persone che sono una rarità tra i
parenti stretti, perché non fanno domande personali tanto per farne, o troppo
spesso per il puro gusto del pettegolezzo. A volte persino per metterti in
difficoltà a bella posta. Il carattere riservato, ma soprattutto la distanza
fisica che è come raddoppiata dalla morte dei nonni che facevano da collante
naturale, nonché la esigenze e gli impegni della vita adulta: ci hanno
allontanato parecchio. Ma mai del tutto. Ho fatto coming out in famiglia 14
anni fa. Mamma, papà e fratello. Finito. Per 14 anni, a Laura è stato detto,
quelle rarissime volte, che Valeria era troppo impegnata “per certe cose”. Per
14 anni, decine e decine di volte avrei voluto anche solo conoscere la sua
opinione, per sentirmi meno sola con dei genitori che non hanno mai approvato,
né voluto sapere e un fratello assente. Per 14 anni si sono susseguite
telefonate, messaggi e parole dette di persona in uno scambio reciproco di
tutto, furché della cosa più importante: chi sono io. Ma ho sempre giudicato
Laura incapace di capire perché, di volta in volta, troppo simile nella
mentalità ai miei genitori, troppo distante, troppo etero, troppo cattolica,
troppo chiusa, troppo qualsiasi altra cosa. Giudicata inadatta e incapace: ma non
in base a delle prove, sulla base di una mia opinione totalmente immotivata.
Ovviamente come accade in questi casi, il muro con gli anni si è fatto sempre
più alto. Perché crescono le cose che non puoi dire. Gli argomenti che non puoi
affrontare. E così, quando quella sera di febbraio scorso dopo cena a casa mia,
guardando per terra le ho detto che non avevo mai avuto un fidanzato: non
perché ero troppo impegnata, ma perché avevo avuto delle fidanzate; Laura si è
alzata dalla sedia dall’altro lato del tavolo e con gli occhi rossi, pieni di
lacrime, mi ha dato uno schiaffo. “Tu non hai mai avuto nessuna fiducia in me.
Senza neppure darmi il beneficio del dubbio. Chi sei tu per concludere che io non
avrei capito? Per tutti questi anni ti ho lasciato da sola, senza neppure
saperlo”. “Ho sbagliato”, è la sola cosa che ho avuto la forza di rispondere.
Non fare niente per paura di sbagliare e commettere errori, è l’errore più
grave che si possa fare. Da allora ogni tanto ci ripenso a quello schiaffo. Al
mio errore. Al mio errare. E’ stata una tappa importante del mio viaggio. Mi ha
insegnato che a volte, se noi glielo permettiamo, le
persone possono sorprenderci positivamente. Che come recita un proverbio
giapponese: “Tutti commettono errori. Ed è per questo che c'è una gomma per
ogni matita”.
Valeria
L’americano
Micheal Jordan, pluripremiato oro alle Olimpiadi e definito il più grande
giocatore di pallacanestro di tutti i tempi, prima di ritirarsi, ha detto:
“Nella mia vita ho sbagliato più di 9000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. 26
volte i miei compagni, mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho
fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
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